Secondo l’articolo 3, comma 1-bis della Legge Stanca 4/2004, l’obbligo di adeguarsi ai criteri di accessibilità digitale si estende non solo alla Pubblica Amministrazione, ma anche a soggetti privati che forniscono servizi digitali al pubblico. Questo concetto è stato chiarito nella Circolare AGID n.3/2022, che afferma:
“…Il Legislatore italiano, con decreto-legge n. 76/2020 ha esteso l’applicazione degli obblighi in materia di accessibilità ai privati, “soggetti giuridici diversi” da quelli indicati all’articolo 3 comma 1, che “offrono servizi al pubblico attraverso siti web o applicazioni mobili con un fatturato medio, negli ultimi tre anni di attività, superiore a cinquecento milioni di euro…”.
Nell’art 2. della presente circolare viene anche specificato che
“…2.- I privati assoggettati agli obblighi di accessibilità, previsti in via residuale dal comma 1 bis dell’art. 3 della L. 4/2004 (a condizione che abbiano un fatturato medio negli ultimi tre anni di attività superiore a cinquecento milioni di euro) sono i seguenti:
- persone fisiche che svolgono attività economico – commerciale, soggetta ad Iva;
- persone giuridiche private, di natura commerciale, a prescindere dalla forma assunta (a titolo esemplificativo non esaustivo: SPA, SAPA, Srl, SS, SNC, SAS, ecc.);
- ETS (enti del terzo settore) di natura privata, nella misura in cui svolgano attività economico– commerciale soggetta ad Iva…”
Nell’art. 4 si legge poi:
“Il Legislatore italiano ha, quindi, esteso gli obblighi di accessibilità ai privati ex art. 3, comma 1 bis, L. 4/2004, partendo dall’ambito di applicazione della Direttiva, ovvero con riferimento a tutti i servizi “essenziali” e servizi destinati a persone con disabilità.
Considerato il contesto nel quale è intervenuta la modifica normativa, diretta a consentire la più ampia inclusione delle persone con disabilità, devono ritenersi servizi essenziali ricompresi nell’ambito di applicazione della Legge 4/04, ove offerti online, quelli riferiti ai settori ritenuti essenziali, tenendo conto anche dell’art. 1 L. 146/1990 e della normativa del periodo emergenziale (fra tanti, DPCM 11 marzo 2020, DPCM 20 marzo 2020), di seguito indicati:
– energia;
– gas;
– acqua;
– trasporto di passeggeri;
– servizi postali ed attività di corriere;
– servizi di sanità ed assistenza sociale;
– servizi di istruzione;
– raccolta dei rifiuti;
– servizi delle comunicazioni elettroniche;
– servizi bancari;
– servizi assicurativi;
– servizi funebri;
– servizi veterinari;
– servizi media basati sulle trasmissioni in diretta che sono mantenuti on line o ripubblicati dopo la trasmissione e, più in generale, media basati sul tempo preregistrati, pubblicati dal 23 settembre 2020;
– servizi di commercio elettronico, aventi ad oggetto “beni di prima necessità”, ovvero quei prodotti senza i quali non sarebbe possibile svolgere una dignitosa esistenza.
A titolo esemplificativo, non esaustivo, i beni di prima necessità sono riferibili ai seguenti settori:
1 – generi alimentari e bevande;
2- apparecchiature informatiche e per le telecomunicazioni, elettronica di consumo audio e video, elettrodomestici;
3- tabacco;
4- ferramenta, vernici, materiale elettrico e termoidraulico;
5- articoli igienico-sanitari;
6- articoli per l’illuminazione;
7- farmaci, articoli medicali e ortopedici;
8- articoli di profumeria, prodotti per toletta e per l’igiene personale;
9- materiale per ottica e fotografia;
10- combustibile per uso domestico e per riscaldamento;
11- prodotti per l’igiene della casa.
Si ritiene che tra i soggetti erogatori, ex art. 3, comma 1 bis, L. 4/2004 debbano essere ricompresi gli “aggregatori”, che offrono servizi di commercio elettronico, relativi anche all’approvvigionamento di beni di prima necessità…”